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Santi del 16 Marzo

Il mio Santo > I Santi di Marzo

*Sant'Agapito di Ravenna - Vescovo (16 marzo)

sec. III-IV
Emblema:
Bastone pastorale
Decimo dei vescovi ravennati, il Martirologio Romano ne celebra la memoria il 16 marzo. Visse tra la fine del III  sec. e la prima metà del IV, ed è senza fondamento la notizia della sua partecipazione al concilio di Roma del 340, indetto dal Papa Giulio I.
La breve e generica biografia del Liber Pontificalis di Agnello ravennate non fa che rifarsi a motivi suggeriti dall'etimologia del nome, ma ne ignora il giorno obituale.
Fino al sec. X rimase sepolto nell'area cimiteriale adiacente alla Basilica Probi di Classe; nel 963 l'arcivescovo Pietro IV ne riesumò le reliqui e le trasferì nell'Anastasi urbana.
Ma il suo culto comincia ad affermarsi solo verso il sec. XI, quando viene estesa a tutti i primi dodici vescovi ravennati la leggenda dell'elezione miracolosa attraverso la discesa di una colomba sul capo del candidato, leggenda originariamente propria solo per San Severo.
Fu l'arcivescovo Filippo Fòntana (1250-1270) che soprattutto diffuse e curò il culto dei cosiddetti «Vescovi Colombini».
(Autore: Giovanni Lucchesi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Agapito di Ravenna, pregate per noi.

*Sant'Allo (Allone) di Bobbio - Monaco (16 marzo)

Bobbio, VII secolo
Unico Santo con questo nome, Allo fa parte del numeroso stuolo di 26 santi, sepolti nella chiesa inferiore della Basilica abbaziale di Bobbio, accanto al sarcofago che contiene le reliquie del grande santo irlandese Colombano (Leinster, 540 ca. - Bobbio, 615), fondatore dell’abbazia benedettina.
Le reliquie poste come “virgulti verdeggianti intorno alla pianta madre”, furono sistemate in un’urna lignea chiusa da cristalli, dal vescovo di Bobbio Mondani e dall’abate Antonio da Pavia nel 1482-83, dopo averle tolte dal luogo umido e sotterraneo dove giacevano da otto secoli.
Nel 1910 fu effettuata la ricognizione canonica dal vescovo Marelli, che le collocò nel nuovo altare marmoreo, donato dai pellegrini irlandesi a Bobbio, guidati dal cardinale primate M. Logue.
I 26 Santi, fra cui il monaco Allo, furono militanti sotto la regola di san Colombano e vissero o erano provenienti  dalla celebre Abbazia di Bobbio (un tempo facente parte della Liguria, oggi in provincia di Piacenza), fondata nel 614 e che fu faro di cultura nel Medioevo; da quella fiorentissima comunità monastica, provenne Papa Silvestro II, l’abate Gerberto.
I santi sono così suddivisi: 4 abati, Colombano, Attala, Bertulfo, Bobuleno; 19 monaci, Agibodo, Teodebaldo, Walcario, Allo, Teoperto, Rattaldo, Cumberto, Suniberto, Andrea, Leone, Giovanni, Pietro, Bladulfo, Maroneo, Bandacario, Leopardo, Tumprando, Cumiano e Romano; 3 vergini, Petronilla, Suniverga e Rotrada.
A parte i più noti, come il fondatore e gli abati, di Allo e degli altri monaci si sa poco, ma delle loro virtù, fa fede il culto ininterrotto conservato dai monaci, che ne celebrarono la festa prima il 31 agosto poi il 16 marzo, fino alla soppressione napoleonica dell’abbazia nel 1795.  Nel "Proprio" della diocesi di Bobbio, la celebrazione è rimasta comunque al 16 marzo.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Allo di Bobbio, pregate per noi.

*Beata Benedetta di Assisi (16 marzo)

m. 1260
Entrata nelle Clarisse di San Damiano nel 1214, si ritiene che sia stata badessa a Siena e a Vallegloria presso Spello.
Fece in tempo ad assistere alla costruzione della basilica in onore di Santa Chiara, e al trasferimento delle Clarisse nei locali annessi alla vecchia chiesa di San Giorgio. Nella medesima fu seppellita, oltre a Santa Chiara anche Santa Benedetta.
Oggi riposa anch’essa nella basilica di Santa Chiara di Assisi.
Etimologia: Benedetta = che augura il bene, dal latino
Entrata fra le Clarisse di Assisi nel 1214, successe a s. Chiara nel governo del monastero di S. Damiano, rimanendo in quell'ufficio fino al 1260. Quasi sicuramente è la stessa che troviamo badessa nel 1227 a Siena e dal 1240 al 1248 a Vallegloria presso Spello.
Fu presente al processo di canonizzazione di Santa Chiara nel novembre del 1253, in cui però
non depose, forse per essere stata molto tempo assente da Assisi.
A lei frate Leone e frate Angelo, dopo la  morte di Chiara, affidarono il breviario usato da San Francesco.
Assisté all'inizio della costruzione della basilica di Santa Chiara (1257), al trasferimento delle Clarisse da San Damiano ai locali annessi alla vecchia chiesa di San Giorgio e forse anche al trasferimento del corpo di Santa Chiara dalla chiesa: di San Giorgio alla nuova basilica, se si accetta, con i Bollandisti, come data della morte il 19 ottobre anziché il 16 marzo 1260.  
Il Martirologio Francescano afferma che la sua vita splendette per singolare prudenza e per grande fama di virtù e miracoli.  
Fu sepolta nella chiesa di San Giorgio.
Nel 1602 il vescovo di Assisi, Crescenzi, fece riporre le sue reliquie con quelle della Beata Amata e di Sant' Agnese nella cappella dedicata a quest'ultima nella basilica di S. Chiara.
In essa si venera, sopra l'altare maggiore, una grande croce sagomata, con ai lati dipinte Santa Chiara e la Beata Benedetta, e con la seguente leggenda in caratteri gotici: "Domina Benedicta post Sanctam Claram prima Abbatissa me fecit fieri" ('Donna Benedetta, prima badessa dopo Santa Chiara, mi fece dipingere').
(Autore: Aldo Brunacci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Benedetta di Assisi, pregate per noi.

*San Damiano di Terracina - Diacono e Martire (16 marzo)
La storia dei due Santi Valentino e Damiano è narrata negli "Atti della Vita e del Martirio di S. Valentino Vescovo e S. Damiano Diacono". Dagli Atti si apprende che il Santo nacque a Terracina durante l'impero di Costantino il   Grande. I genitori, di nobili origini, impressero nei figli un'impronta cristiana che maggiormente si manifestò in Valentino, tanto che il Vescovo della città, pensò di ordinarlo sacerdote in giovane età.  
Valentino si dedicò anima e corpo alla Chiesa e morto il Vescovo fu eletto all’episcopato della sua città.
Iniziò subito a mostrare le sue virtù di castità, umiltà e carità; sovvenendo si bisogni dei poveri, dei malati aiutando tutti coloro che si rivolgevano a lui.
Alla morte di Costantino iniziarono le persecuzioni dei Cristiani e dopo essere stato arrestato e liberato, il Vescovo Valentino iniziò il suo pellegrinaggio che lo portò, come guidato dalla volontà di Dio, alla città a cui avrebbe successivamente dato il nome.
Qui Egli convertì e battezzò la popolazione del posto ed edificò nuove chiese e ordinò nuovi sacerdoti. Ma nelle città vicine vi erano molti sacerdoti pagani che vedendo tali opere, indussero la maggior parte della popolazione contro San Valentino e il suo discepolo San Damiano, fino al punto da farli catturare, trasportare in un bosco vicino e farli decapitare.
Qui furono sepolti dai fedeli cristiani e rimasero senza culto fino al periodo dei Normanni quando, tra il 1075 e il 1078, il re Trogisio dopo aver rinvenuto le spoglie dei Martiri, le fece portare nell'Oratorio situato in Castel di Pietra (antico nome di San Valentino) dove iniziarono a mostrarsi innumerevoli prodigi.
Fu molto probabilmente proprio in questo periodo che Castel di Pietra cambiò nome per diventare San Valentino. Oggi i loro corpi riposano nella parrocchiale dei Ss. Valentino e Damiano situata sull'alto della gradinata e progettata dall'architetto Luigi Vanvitelli.
Il capitolo terzo degli "Atti" che riguarda appunto San Damiano: "Assunta la cura del gregge di Gesù Cristo, il Vescovo Valentino, incominciò a mostrar chiaramente il progresso ch'egli faceva d'una in altra virtù: sovveniva ai bisogni delle vedove; stendeva la mano agli orfani; provvedeva alle necessità dè poverelli: e tutto ciò che aver poteva loro volentieri il distribuiva.  
Vi era intanto in Terracina una certa vedova per nome Procla con un figliuolo unico chiamato Damiano, che mancando di ogni alimento per se e pel figliuolo, si accostò un giorno ai piedi del buon Pastor Valentino, pregandolo che soccorresse alla sua miseria, e le desse tanto da poter con la prole sua campar la vita.
Commosso il pietosissimo Padre alle preci della povera donna, prese fra le sue braccia l'infante di lei, e strettoselo al seno e baciatolo, se lo adottò per figlio alla presenza di tutti i circostanti e donò alla donna cinquanta monete d'oro, perché provvedesse con quelle ai suoi futuri bisogni  e così la rimandò tutta giuliva alla propria casa e ritenne con sé il fanciullo.
Il Santo Prelato l'incominciò a nutrire con diligenza grandissima e ad istruir premurosamente nel servizio di Dio.
Lo imbevve della Dottrina della Chiesa secondo il costume e il rito de' Santi Padri, e quando quello toccò l'età adulta, il promosse al grado di Diacono; e Damiano restò sempre perseverante nella dottrina del maestro."
(Fonte: Parr. di San Valentino A. C. - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Damiano di Terracina, pregate per noi.

*Sant'Eriberto di Colonia - Vescovo (16 marzo)

Worms (Germania), ca. 970 - Colonia, 16 marzo 1021/1022
Nato intorno al 970 studiò nell'abbazia di Gorze e nella cattedrale di Worms, di cui divenne prevosto. Cancelliere di Ottone III divenne nel 999 arcivescovo di Colonia. Morto Ottone, cadde in disgrazia sotto Enrico II, vivendo nell'ombra fino alla morte, avvenuta intorno al 1021. È invocato per ottenere la pioggia.  (Avvenire)
Etimologia: Eriberto = guerriero illustre, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Colonia in Germania, Sant’Eriberto, vescovo, che, cancelliere dell’imperatore Ottone III, eletto contro il suo volere alla sede episcopale, illuminò incessantemente il clero e il popolo con l’esempio delle sue virtù, alle quali esortava nella predicazione.
Fa carriera molto presto. Anzi, in carriera ci nasce, perché figlio di una casata che è un vivaio di capi per lo Stato, per l’esercito e, purtroppo, anche per la Chiesa. Eriberto fa buoni studi nella scuola della cattedrale a Worms, fucina di ecclesiastici, e poi tra i severi monaci di Gorze presso Metz, nell’attuale Francia. Destinato al sacerdozio, prima di essere ordinato è già cancelliere dell’imperatore Ottone III per gli affari italiani, e non ha ancora 25 anni. Ma l’imperatore ne ha 14, e per lui governa sua madre Teofano. Sacerdote nel 995, quattro anni dopo ecco Eriberto già arcivescovo di Colonia. Al momento della nomina è in Italia insieme all’imperatore, che ora governa a pieno titolo e ama vivere a Roma, come i sovrani dell’antico Impero.
Ricevuta la consacrazione episcopale a Colonia nel 999, tre anni dopo lo ritroviamo ancora in Italia, accanto a Ottone III che è fuggito da una Roma in rivolta, e che sta morendo ventiduenne presso Viterbo, forse di malaria. Eriberto lo assiste nell’agonia e lo accompagna morto nel lungo viaggio verso la Germania – Aquisgrana – con l’esercito imperiale che a volte deve aprirsi la strada con le armi.
E finisce a questo punto la sua carriera politica. Ad Aquisgrana lo arrestano su ordine del
principe di Baviera, che diventerà poi l’imperatore Enrico II. Una volta rimesso in libertà, Eriberto perde le cariche di Stato, e ben di rado lo consulteranno ancora. Così, per la prima volta, lo ritroviamo a tempo pieno in Colonia.
La disgrazia politica gli ha fatto bene. Impara a essere vescovo sul serio. Scopre la vita dei poveri, e i doveri di ogni uomo di Chiesa verso di loro. Sta in diocesi, ne percorre ogni città e paese, e ben di rado se ne allontana. Non c’è notizia di lui come predicatore o come scrittore, ma si parla sempre più della vita severa che si impone.
Eriberto lo statista diventa il soccorritore e l’amico, l’alleato dei poveri. E accade poi che la riconoscenza della gente gli attribuisca miracoli già da vivo. Quando arriva la pioggia, dopo una tremenda siccità che ha messo la gente alla fame, tutti in Colonia gridano: «Le preghiere di Eriberto ci hanno salvati».
Il suo cappellano scampa a una grave malattia, una donna cieca recupera la vista: e riecco ogni volta le voci sul “miracolo del vescovo”. Questa fama persiste lungamente dopo la sua morte, e per secoli si invocherà la sua intercessione per avere la pioggia.
Viene sepolto nella chiesa del monastero da lui fondato a Deutz, nell’attuale area urbana di Colonia. Non c’è un atto ufficiale di canonizzazione per Eriberto: il culto nei suoi confronti è nato spontaneamente, durando nel tempo.
Ora il Martirologio romano lo elenca tra i Santi, ricordando che egli «ha illuminato il clero e il popolo praticando le virtù che predicava».
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eriberto di Colonia, pregate per noi.

*Beato Eriberto di Namur - Eremita (16 marzo)
Etimologia: Eriberto = guerriero illustre, dal tedesco
Nel sec. XVII il suo corpo riposava in un oratorio dedicato alla Vergine presso Bois-Villiers, nel contado di Namur (Belgio), retto da un sacerdote dell'Ordine Cistercense.
Il gesuita Egidio du Monin, desideroso di avere qualche notizia sul beato, si recò sul posto, dove interrogò il religioso ed esaminò documenti che noi chiameremmo d'archivio.
Da una tabula manoscritta, appesa a una parete della chiesetta, apprese così che Eriberto era stato ai suoi tempi celebre per l'austerità della vita e la santità dei costumi e che "in ea solitudine vitam eremiticam duxit, ibidemque beato fine quievit".  
L'indagatore non riuscì a sapere niente altro poiché "res gestae temporum diuturnitate vel hominum incuria perierunt".
Nei martirologi Eriberto è ricordato il 16 marzo, giorno in cui cade la festa del suo omonimo vescovo di Colonia, con cui a torto è stato spesso. confuso. Egli non ha Ufficio proprio, né commemorazione liturgica.
Nella cattedrale di Sant'Albano di Namur si venerano alcune reliquie di un Sant' Eriberto, ma è impossibile stabilire di quale dei due si tratti.
In forza di indizi, che qui non è il caso di enumerare, alcuni studiosi asseriscono non improbabili coniectura che Eriberto vivesse all'inizio del sec. XIII.  
(Autore: Pietro Burchi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Eriberto di Namur, pregate per noi.

*Sant'Eusebia Badessa di Hamay (16 marzo)

m. 680 circa
Martirologio Romano:
Nella regione dell’Artois in Neustria, nel territorio dell’odierna Francia, Santa Eusebia, badessa di Hamay-sur-la-Scarpe, che, dopo la morte del padre, si diede insieme alla santa madre Rictrude alla vita monastica e ancor giovane fu eletta badessa, succedendo a sua nonna Santa Geltrude.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant' Eusebia Badessa di Hamay, pregate per noi.

*Beato Ferdinando Valdes - Vescovo (16 marzo)

Vescovo di Lugo (Spagna), il Beato Ferdinando Valdes, fu anche predicatore del Re di Castiglia.
Onorò l’Ordine della Mercede poiché visse santamente testimoniando la fede cristiana con fede e sacrificio.
Morì nel monastero di Santa Caterina in Toledo e qui fu sepolto, il suo corpo dopo tre secoli fu trovato integro.
L’Ordine lo festeggia il 16 marzo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ferdinando Valdes, pregate per noi.

*Beati Giovanni Amias e Roberto Dalby - Sacerdoti e Martiri (16 marzo)
Scheda del Gruppo a cui appartengono i  Beati Giovanni Amias e Roberto Dalby:
"Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia" (Beatificati nel 1886-1895-1929-1987)
+ York, Inghilterra, 16 marzo 1589

Giovanni nacque presso Wakefield. Svolgeva la professione di fabbricante di tessuti ma alla
morte della sua sposa decise di studiare a Reims per divenire sacerdote.
Venne ordinato nel 1581 ma dopo pochi anni venne giustiziato a York il 16 marzo 1589.
Suo compagno di martirio fu Roberto Dalby.
Roberto nacque a Hemingborough intorno alla metà del XVI secolo.
Per un certo tempo fu ministro protestante ma afflitto da una crisi religiosa arrivò fino al punto di tentare di uccidersi con una coltellata. Un sacerdote cristiano lo soccorse e lo confortò anche spiritualmente.
Roberto decise di studiare a Reims per divenire sacerdote e venne ordinato nel 1588.
Tornato in Patria venne arrestato a Scarborough e imprigionato e processato a York. Andò incontro al martirio con il suo volto illumiminato di gioia. Beatificati nel 1929 da Papa Pio XI.
Martirologio Romano: A York in Inghilterra, Beati Giovanni Amias e Roberto Dalby, sacerdoti e martiri, che, sotto la regina Elisabetta I, furono condannati a morte per il solo fatto di essere sacerdoti e si avviarono lieti all’impiccagione.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Giovanni Amias e Roberto Dalby, pregate per noi.

*Beato Giovanni Cacciafronte de Sordi - Vescovo e Martire (16 marzo)
Cremona, 1125 ca. – Vicenza, 16 marzo 1181
Nato a Cremona verso il 1125 nella famiglia Sordi, alla morte del padre la madre si risposò con  un esponente della famiglia dei Cacciafronte. Perciò il beato Giovanni è indicato con l'uno o l'altro cognome. Entrato nell'abbazia benedettina di San Lorenzo, ne divenne abate nel 1155. Cremona fu coinvolta nei disordini succedutisi all'elezione (appoggiata dal Barbarossa) dell'antipapa Vittore IV.
Rimasto fedele al Papa legittimo, Alessandro III, Giovanni venne da questi nominato vescovo di Mantova. Poi divenne di Vicenza, per soli due anni.
Fu, infatti, assassinato da una uomo che aveva sottratto dei beni alla Chiesa e perciò era stato da lui redarguito. É sepolto nella cattedrale di Vicenza. (Avvenire)
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Vicenza, Beato Giovanni Sordi o Cacciafronte, vescovo e martire, che, dapprima abate, fu condannato all’esilio per la sua fedeltà al papa; eletto poi vescovo di Mantova e trasferito infine alla sede di Vicenza, morì per la libertà della Chiesa trafitto con la spada da un sicario.
Visse al tempo della lotta intrapresa dall’imperatore Federico Barbarossa (1125-1190), contro il Papato ed i Comuni italiani.
Giovanni nacque a Cremona verso il 1125 da Evangelista Sordi e da Berta Persico, ambedue di
nobilissime origini; ancora in tenera età Giovanni Sordi perse il padre, la madre si risposò con il nobile Adamo Cacciafronte, il quale lo amò come un figlio proprio, dandogli il suo nome; fu educato in modo eccellente dai due genitori, ricevendo una formazione religiosa e culturale.
A sedici anni entrò come monaco benedettino nell’Abbazia di S. Lorenzo a Cremona; con gli anni le sue qualità e virtù furono sempre più evidenti, conquistandosi le simpatie dei superiori e dei confratelli.
Fu nominato dapprima priore del piccolo monastero di S. Vittore, dipendente dall’abbazia di S. Lorenzo e poi abate della stessa grande Abbazia di Cremona.
In quegli anni nella Chiesa scoppiò lo scisma, con l’elezione dell’antipapa Vittore IV (1159-1164), sostenuto da Federico Barbarossa, contro il legittimo papa Alessandro III (1159-1181), che si opponeva allo strapotere imperiale, appoggiando la Lega Lombarda dei Comuni, che contrastava l’invasione delle truppe del Barbarossa.
L’abate Cacciafronte con la sua influenza, riuscì a mantenere Cremona nell’obbedienza al papa Alessandro III, ma l’imperatore lo fece esiliare; in seguito il papa lo incaricò del governo della diocesi di Mantova, non è precisato se come Amministratore Apostolico oppure come vescovo, al posto del vescovo Graziadoro che aveva aderito allo scisma dell’antipapa Vittore IV e dei suoi successori Pasquale III (1164-1168) e Callisto III (1168-1179).
Dopo la famosa battaglia di Legnano (29 maggio 1176) persa dall’imperatore ad opera della Lega Lombarda, al cui capo era stato eletto il papa Alessandro III (è di quel periodo la fondazione di una nuova città, chiamata in onore del papa, Alessandria); ci fu la pace trattata a Venezia nel 1179, l’antipapa in carica Callisto III fu deposto.
Nella sede episcopale di Mantova ritornò il pentito vescovo Garziadoro e sempre nel 1179, mons. Giovanni Cacciafronte de Sordi, fu trasferito alla sede vescovile di Vicenza, in quel periodo senza vescovo.
Appena due anni dopo, il 16 marzo 1181 il vescovo Cacciafronte fu ucciso da un certo Pietro, feudatario in concessione dei beni delle Chiesa vicentina, il quale volle vendicarsi perché il vescovo l’aveva scomunicato e privato dei beni, a causa delle sue frequenti violazioni dei diritti delle Chiesa.
L’assassinio del vescovo è citato nelle ‘decretali’ di papa Gregorio IX (1227-1241), nel testo di una lettera del 21 marzo 1198, inviata dal Papa Innocenzo III, al vescovo di Vicenza, mons. Pistore, vietandogli di dare in feudo i beni della Chiesa agli assassini del vescovo Giovanni ed ai loro eredi.
La salma del santo vescovo e martire fu tumulata nella cattedrale di Vicenza e traslata nella stessa cattedrale nel 1441, in una più degna tomba marmorea.
Il culto del Beato Giovanni Cacciafronte de Sordi, vescovo e martire, da secoli tributatogli, fu confermato da papa Gregorio XVI il 30 marzo 1824.
La sua festa liturgica è fissata al 16 marzo.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Cacciafronte de Sordi, pregate per noi.

*San Giovanni de Brebeuf - Gesuita, Martire in Canada (16 marzo)

Scheda del Gruppo cui appartiene San Giovanni de Brebeuf:  “Santi Martiri Canadesi” (Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni) Martiri
Condé-sur-Vire (Bayeux), Francia, 25 marzo 1593 – Canada, 16 marzo 1649
Martirologio Romano: Nel territorio degli Uroni in Canada, passione di San Giovanni di Brébeuf, sacerdote della Compagnia di Gesù, che, mandato dalla Francia in missione presso gli Uroni, dopo aver compiuto molte fatiche, morì per Cristo sotto le crudelissime torture di alcuni pagani del luogo.
La sua memoria insieme a quella dei suoi compagni si celebra il 19 ottobre.  
Se nel colonizzare il Nuovo Mondo, come veniva chiamato il Continente Americano, si attivarono più o meno con interessi politici, economici e di sfruttamento coloniale, Inglesi, Francesi, Spagnoli, cioè le grandi Potenze dell’epoca, vi furono  di pari passo, altri uomini appartenenti a Congregazioni religiose di antica fondazione, oppure che si costituirono negli anni successivi, che portarono la luce del Vangelo ed i principi cristiani, alle popolazioni locali.
Quindi essi costituirono l’altra faccia della colonizzazione, non portarono guerra, violenza, sfruttamento, ma solidarietà umana e spirituale, aiuti sanitari, istruzione, accoglienza per i più disagiati e deboli, che non mancano mai in ogni angolo della Terra.
E nell’America Settentrionale e precisamente in Canada, al confine con gli Stati Uniti, arrivarono come seconda generazione di Missionari, i padri Gesuiti ed i Francescani. Fra i Gesuiti vi fu un gruppo di otto sacerdoti e fratelli coadiutori, che a gruppetti o singolarmente, si spinsero nelle
inesplorate e vastissime terre americane, tra immense foreste e laghi grandi come mari.  
Il loro apostolato si svolse primariamente fra i “pellerossa” della zona; compito non facile, visto il loro carattere sospettoso e mutevole; i primi successi relativi, si ebbero con la tribù più vicina degli Uroni; i Gesuiti usarono il metodo di farsi “selvaggi fra i selvaggi”, cioè adottare e adattarsi agli usi e costumi locali, avvicinandosi alla mentalità degli Indiani, cercando di comprendere le loro debolezze, riti, superstizioni.  
Ma dopo il 1640, la tribù degli Uroni fu attaccata ferocemente da quella degli Irochesi, per natura più combattivi e crudeli, più intelligenti e perspicaci e dotati di veloci cavalli; la guerra tribale fu violenta, portando allo sterminio quasi totale degli Uroni e annullando così l’opera dei missionari.  
E nel contesto di questa guerra fra Uroni ed Irochesi, persero la vita gli otto martiri gesuiti, che in varie date testimoniarono con il loro sangue la fede in Cristo, suscitando negli stessi Irochesi, una tale ammirazione di fronte al loro coraggio, nell’affrontare le crudeli e raffinate sevizie, che usavano per torturare i loro nemici, da giungere a divorare il cuore di alcuni di loro, per poterne secondo le loro credenze, assimilare la forza d’animo ed il coraggio.
E come si diceva degli antichi martiri cristiani: “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”, così il loro sacrificio non fu inutile,  perché nei decenni successivi, la colonia cattolica riprese vigore e si affermò  saldamente in quei vasti Paesi.
I martiri furono beatificati il 21 giugno 1925, dal grande ‘Papa delle Missioni’ Pio XI e dallo stesso pontefice canonizzati il 29 giugno 1930. Citiamo i loro nomi:
Sacerdoti Carlo Daniel († 1648), Giovanni De Brébeuf, Gabriele Lalemant, Carlo Garnier, Natale Chabanel († tutti nel 1649); fratello coadiutore Renato Goupil († 1642), sacerdote Isacco Jogues e il fratello coadiutore Giovanni de la Lande († 1647). Ricorrenza liturgica per tutti al 19 ottobre. Giovanni de Brébeuf nacque il 25 marzo 1593 nel castello feudale di Condé-sur-Vire, nella diocesi di Bayeux in Francia; discendente di una antica famiglia, nobile e cavalleresca. Aveva 20 anni quando l’8 novembre 1617, entrò nel Noviziato dei Gesuiti a Rouen e dove il 25 marzo 1622 a 29 anni esatti, fu ordinato sacerdote.
Dopo tre anni, nell’aprile 1625 s’imbarcò con altri missionari gesuiti a Duppe, per il Canada, in quell’epoca colonia francese, raggiungendo Québec il 19 giugno.
In questa immensa terra si fece notare per la sua anima eroica e generosa, tanto è vero che le Suore Orsoline di Québec, lo chiamavano “personificazione della grandezza e del coraggio”.
Per cinque mesi accompagnò gli Indiani Algonchini, attraverso le foreste nevose di quell’inverno e anche se non convertì nessun Indiano, poté apprendere la loro lingua, componendo un dizionario e una grammatica e facendosi comunque amare ed ammirare da loro.
Nel mese di marzo 1626, Giovanni de Brébeuf riuscì ad imbarcarsi su una canoa degli Uroni e con la loro flottiglia risalì il fiume San Lorenzo e da lì poi nel fiume Ottawa, raggiungendo dopo trenta giorni il territorio degli Uroni, dove risedette per tre anni in completa solitudine, sia di territorio, sia di approccio con questo popolo, a cui a stento riuscì a battezzare qualche bimbo in fin di vita.  
Riuscì comunque a scrivere nella loro lingua un catechismo, che diventò un saggio raro di quel linguaggio, scomparso con l’annientamento degli Uroni qualche decennio dopo.
Per i noti  motivi politici e coloniali, la città di Québec e la colonia francese, passarono agli inglesi e i missionari cattolici, a malincuore dovettero lasciare il Canada e ritornare in Francia.
Dopo il Trattato di San Germano del 29 marzo 1632, con il quale la Francia riebbe il Canada, anche i Gesuiti ripresero le loro missioni; padre Giovanni de Brébeuf ritornò fra gli Uroni a condividere quella desolata esistenza.
Alla fine del 1636 una malattia epidemica scoppiò nel villaggio, sembra proprio nella misera capanna dei missionari (i meno immunizzati naturalmente a tanta sporcizia e mancanza d’igiene), diffondendosi alle capanne vicine e poi all’intero villaggio  e a quelli dei dintorni; estendendosi a macchia d’olio, seminando morti in quantità, specie bambini.  
I padri Gesuiti, ancora convalescenti, presero ad aiutare tutti, dando prova ed esempio di cristiana carità; nonostante l’avversità degli stregoni, che li ritenevano responsabili dell’epidemia.
In particolare padre Giovanni de Brébeuf, anche quando rivestì la carica di Superiore della Missione, sopportava con ammirevole pazienza e con il sorriso sulle labbra, gli insulti, le offese, le lividure e le ferite, che gli Uroni gli infliggevano, sempre aizzati dagli stregoni; sempre primo a svolgere i compiti più gravosi, ad alzarsi la mattina e accendere il fuoco e l’ultimo a coricarsi.  
Dal 1637 i suoi coraggiosi e tenaci tentativi di evangelizzazione cominciarono a dare i primi frutti, al punto che nel 1649, anno in cui morì, gli Uroni battezzati erano settemila.
Il 16 marzo 1649 la Missione fu invasa dalla tribù degli Irochesi, Indiani feroci armati dagli Inglesi, che uccisero una gran quantità di Uroni e facendo altri prigionieri per torturarli, compreso padre de Brébeuf, al quale strapparono le unghie, lo legarono ad un palo, con delle scuri incandescenti legate al collo, che gli bruciarono il dorso e il petto, mentre una cintura di corteccia con pece e resina incendiata, gli cingeva i fianchi.
Era tale l’odio contro il missionario, che gli Irochesi presero a trafiggerlo con aste arroventate, strappandogli brandelli di carne bruciata e divorandola davanti ai suoi occhi.
Ancora più infuriati perché il martire invece di gridare dal dolore, continuava a pregare lodando Dio, gli strapparono le labbra e la lingua, gli ruppero le mascelle, ficcandogli in gola tizzoni ardenti; poi finalmente sazi di tanta crudeltà, apersero il petto dell’agonizzante ed eroico martire, gli strapparono il cuore e ne bevvero il sangue, convinti secondo le loro credenze, di assimilare così il suo coraggio.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni de Brebeuf, pregate per noi.

*San Giuliano di Anazarbo - Martire venerato a Rimini (16 marzo)

Istria, III secolo - Flaviade in Cilicia, 22 giugno 249
Sin dal secolo IX è testimoniato a Rimini il culto di San Giuliano, giovane istriano del III secolo. Secondo la tradizione, risalente al X-XI secolo, fu martirizzato in Flaviade (Cilicia) dal proconsole Marciano.
Nel 962 circa il sarcofago contenente le reliquie del Santo giunse sul litorale di Rimini, nella località successivamente denominata "Sacramora" e da qui venne traslato nell'antica abbazia benedettina dei Ss. Pietro e Paolo (oggi Parrocchia di San Giuliano Martire). Fu eletto Patrono del Comune e della Città di Rimini nel 1225. Il suo corpo, insieme al sarcofago del III secolo, è conservato nella suddetta chiesa parrocchiale.
Martirologio Romano: Ad Ainvarza in Cilicia, nell’odierna Turchia, San Giuliano, martire, che, dopo essere stato a lungo torturato sotto il governatore Marciano, venne chiuso in un sacco pieno di serpenti e precipitato in mare.
Ci sono alcune fonti che parlano di questo martire, patrono della città di Rimini e sono tutte del
secolo XIV. A  parte questo, a Rimini vi è la chiesa, non di grandi proporzioni, a lui dedicata, che fu edificata probabilmente su un tempio pagano e di cui le prime notizie risalgono all’816, poi ricostruita nelle forme attuali nel XVI secolo e  gestita fino al 1797 dai monaci benedettini della Congregazione Cassinese.
E in questa chiesa vi sono concentrate le opere d’arte principali, che raffigurano San Giuliano martire, e che rappresentano le varie fasi del martirio e gli avvenimenti collegati al sarcofago con il suo corpo; in particolare di notevole importanza è il dossale, opera di Bittino da Faenza del 1409, con i pannelli che raccontano la sua storia.
Giuliano era un giovane di diciotto anni nato in Istria, ed essendo cristiano venne arrestato durante la persecuzione di Decio (200-251), che nel 249 ordinò appunto la settima persecuzione contro i cristiani in tutto l’impero.  
Nei pannelli sopra menzionati compare la figura della madre Asclepiodora, che gli è d’incoraggiamento, sia durante l’interrogatorio di Marziano, proconsole della città di Flaviade in Cilicia (provincia romana dal I secolo a.C.), sia nell’esecuzione del martirio nella stessa città.  
Il giovane Giuliano dopo essere stato condannato dal Tribunale, venne messo dentro un sacco chiuso contenente sabbia e serpenti e gettato in mare, dove morì annegato si suppone un 22 giugno forse del 249.
Il suo corpo poi fu restituito dal mare sulla costa dell’isola di Proconneso (odierna Marmara), e qui deposto in un  sarcofago; ma poi al tempo di Ottone I (912-973), imperatore del Sacro Romano Impero, sceso in Italia nel 961 e del vescovo Giovanni VI (962-968), il sarcofago precipitò in mare e galleggiando nel Mare Adriatico, guidato da angeli, approdò a Rimini, in località Sacra Mora.
Qui si cercò di trasportarlo in cattedrale ma gli sforzi risultarono vani, per cui furono indette preghiere dal vescovo Giovanni, con tutto il popolo riminese e così si riuscì a trasportarlo nel vicino monastero dei Ss. Pietro e Paolo, sotto la custodia dell’abate Lupicino.  
In seguito un altro abate di nome Giovanni, procedette alla ricognizione del sarcofago trovando le reliquie del giovane martire Giuliano, ancora intatte, insieme ad un documento che ne raccontava la storia e sembra che nel sarcofago vi fossero anche le reliquie di altri sette martiri non identificati; evidentemente messi tutti insieme durante il lungo periodo della permanenza nell’isola di Proconneso.
Negli "Acta SS" ed. Venezia, 1734-1770, sono citati alcuni miracoli ottenuti per l’intercessione del martire e nel racconto dell’ultimo, risulta che il 22 giugno era già festa di precetto per tutta la diocesi di Rimini.
Volendo eliminare tutta la parte leggendaria del racconto, gli studiosi sono concordi nell’affermare che san Giuliano fu nativo dell’Istria, con il martirio avvenuto il 22 giugno; le sue reliquie furono preda di guerre o di razzie da parte dei marinai riminesi; anche il materiale con cui è costruita l’arca proviene dall’Istria, pure il suo  nome potrebbe confermare la sua origine, perché nell’Istria vi erano o vi sono ancora quattro città di nome ‘Iulia’, (nel Medioevo l’aggettivo “iuliensis” era già divenuto “iulianus”).
Già dal secolo XII il culto per il santo martire istriano, fiorì enormemente in Rimini; le sue reliquie sono conservate nell’attuale chiesa di S. Giuliano a Mare, che fu già chiesa dell’antico monastero dei Ss. Pietro e Paolo, presso il Ponte di Augusto; nel 1152 la chiesa ebbe una donazione (documentata) dal conte Rainerio; nel 1164 il monastero era chiamato dei Ss. Pietro e Giuliano e infine dal 1204 solo S. Giuliano.
Il giovane martire è dal 1225 patrono della città di Rimini; la Zecca locale coniò monete contrassegnate con la dicitura “Sanctus Iulianus”, la sua festa del 22 giugno è occasione di una sagra popolare e segnava un tempo l’inizio o la scadenza dei contratti.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giuliano di Anazarbo, pregate per noi.

*Santi Ilario e Taziano - Martiri (16 marzo)

Il nome di Ilario (Ilaro o Ellaro), associato a Taziano nel Martirologio geronimiano, coincide con quello del  secondo vescovo dei catologhi aquileiesi.
Un'antichissima tradizione vuole che il vescovo Ilario e il diacono Taziano abbiano subito il martirio sotto Numeriano il 16 marzo 284.
In Aquileia era dedicato a Ilario un martyrium ottagonale, sorto probabilmente già nel IV secolo. Alla fine del VI secolo, per timore dei Longobardi, il patriarca Paolo si rifugiò a Grado, portandovi i corpi dei santi martiri, fra cui quello di Ilario e Taziano.
A Gorizia era loro dedicata una chiesa già all'inizio del XIII secolo, che divenne chiesa parrocchiale della città verso il 1460, e, alla soppressione del patriarcato di Aquileia, fu eretta cattedrale della nuova arcidiocesi nel 1751. Gli stessi martiri sono venerati Patroni principali della città di Gorizia. (Avvenire)
Martirologio Romano: Ad Aquileia, ora nel Friuli, Santi Ilario, vescovo, e Taziano, martiri. Il nome di Ilario (Ilaro o Ellaro), associato a Taziano nel Martirologio geronimiano, coincide con quello del secondo vescovo dei catologhi aquileiesi.
Un’antichissima tradizione vuole che il vescovo Ilario e il diacono Taziano abbiano subito il martirio sotto Numeriano il 16 marzo 284. In Aquileia era dedicato a Ilario un martyrium ottagonale, sorto probabilmente già nel sec. IV entro le mura della città.  
Alla fine del sec. VI, per timore dei Longobardi, il patriarca Paolo si rifugiò a Grado, portandovi i corpi dei santi  martiri, fra cui quello di Ilario e Taziano.
I due santi ebbero larga venerazione ; nella località Gorizia era loro dedicata una piccola chiesa documentata già all’inizio del XIII secolo, che, ampliata, divenne chiesa parrocchiale della città verso il 1460, e, soppresso il Patriarcato d’Aquileia nel 1751, fu eretta cattedrale della nuova arcidiocesi metropolitana allora costituita.
Gli stessi martiri sono venerati Patroni principali della città di Gorizia.
(Autore: P. Renzo Bon – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Ilario e Taziano, pregate per noi.

*San Papas - Martire in Licaonia (16 marzo)

sec. IV  
Martirologio Romano:
A Seleucia in Persia, San Papa, che, originario della Licaonia, nell’odierna Turchia, per la sua fede in Cristo, dopo molti supplizi, concluse la sua vita con il martirio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Papas, pregate per noi.

*San Serpione - Arcivescovo di Novgorod (16 marzo) “Chiese Orientali”
San Serapione fu Arcivescovo di Novgorod ortodosso russo.
É festeggiato al 16 marzo.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria -
San Serpione, pregate per noi.

*Beato Torello da Poppi - Eremita (16 marzo)
1202 – 1282
Secondo l’antica “Vita” anonima, il Beato Torello nacque a Poppi (in Toscana) nel 1202 da genitori pii e devoti che lo educarono nel timor di Dio.
In gioventù Torello passò anni nell’inquietitudine. Verso i vent’anni però, quasi improvvisamente, egli decise di cambiar vita.
Per questo motivo si recò dall’abate di San Fedele, monastero vallombrosano situato nella cittadina di  Poppi, per confessarsi e per esternagli la sua volontà di ritirarsi come eremita ad Avellaneto, ad un miglio da Poppi.
Ad Avellaneto, per circa sessant’anni, Torello condusse una austera vita di contemplazione. Molti miracoli in quel periodo si attribuirono a Torello, celebri sono quelli che riguardano i lupi.
Quando Torello si sentì prossimo alla morte, egli tornò dall’abate di San Fedele per aiuto spirituale e per esternargli il desiderio di essere sepolto nella chiesa del monastero.
Ritornato nel suo eremo, in compagnia del suo discepolo Pietro, il 16 marzo 1282, Torello, ormai ottantenne, morì.
La sua morte fu annunciata agli abitanti di Poppi e del Casentino con il suono delle campane.
Dopo la morte, però, ecco i monaci vallombrosani e vari gruppi di fedeli contendersi il corpo di
Torello per la  sepoltura: ciascuno voleva seppellirlo nella propria chiesa. La spuntarono i vallombrosani, che così poterono seppellire il beato Torello nella loro chiesa di Poppi.
Verso la fine del XV secolo, una nuova controversia dovette sorgere sul beato estinto. Quella volta, il beato  Torello fu oggetto di contesa tra i vallombrosani e i francescani.
Ognuno di questi due ordini sosteneva che Torello era appartenuto al proprio ordine.
La pretesa dei vallombrosani si basava sui rapporti, indiscussi, tra Torello e l’abate di San Fedele; quella dei francescani si basava solo sul fatto che Torello in vita aveva portato un (solo) abito simile al loro e aveva condotto un genere di vita simile ai (primi) francescani.
Sembra, però, che Torello non fosse appartenuto a nessuno di questi due istituti religiosi, sebbene, come già detto, fu vicino ai vallombrosiani della città di Poppi.
Il culto al beato Torello è stato confermato da papa Benedetto XIV. Il Martirologio francescano ricorda il beato il 16 marzo. Nello stesso giorno il Beato è festeggiato nelle diocesi di Forlì e di Arezzo, nonché nella congregazione Vallombrosana.
Tra le fonti per la biografia del beato vanno ricordate la “Vita” anonima, edita negli Acta Sanctorum di Parigi del 1865, l’epitome di Gerolamo da Raggiuolo e una Vita, scritta in volgare nel XIV secolo, attribuita al discepolo Pietro. In alcuni testi, Torello viene indicato col titolo di santo così come da molti è stato venerato.
(Autore: Francesco Roccia - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Torello da Poppi, pregate per noi.  

*Altri Santi del giorno (16 marzo)
*Santa Colomba, Vergine e Martire
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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